Acqua e neomaterialismo degli immaginari
Panel 29 / Quarto Convegno Nazionale SIAC “Il ritorno del sociale”, Sapienza Università di Roma, 21-22-23 settembre 2023
Proponenti: Elena Bougleux (Università di Bergamo), Caterina Di Pasquale (Università di Pisa)
Abstract
Il concetto di sociale che ci interessa in questo panel non si limita alla rete di relazioni e interdipendenze che connette tra loro gli umani, piuttosto è un concetto eterogeneo, contaminato e plastico, che si allarga alle forme del vivente e include le manifestazioni della materia, osservando come queste intessono relazioni con gli umani e tra di loro, modificandoli e modificandosi, generando modalità sempre nuove del senso. La materia che ci interessa è l’acqua, perché l’acqua è banalmente all’origine della vita ma in questa nostra parte della storia, e della geografia, sta più che altro all’origine della morte. L’acqua s/oggetto si tiene insieme, ma lo fa debolmente. L’acqua si adatta, ma in realtà resiste. In una visione antropocenica che necessariamente considera gli effetti dei cambi di scala, l’acqua è capace di trasportare across scales caratteri e proprietà anti-logiche, trasferendole al vivente e agli umani. Negli steli delle piante, l’acqua sale contro la gravità; sotto la superficie ghiacciata il mare non ghiaccia mai, e a temperature glaciali pullula di vita. Il mondo visto dall’acqua, da sopra e da dentro, afloat nel senso dell’hydroperspectivism di Franz Krause (2019), cambia volto e si presenta unito, appiattito come su un fondale di teatro. La visione dall’acqua è un amplificatore della rilevanza del posizionamento. L’acqua che intendiamo tiene insieme le reti delle relazioni, è allo stesso tempo il mezzo e il modo, common e tool.
Keywords: acqua, materia, relazione, agency, emozione
Lingue accettate: Italiano / English / Français / Español
Sessione I
Venerdì 22/9/2023, ore 14.30-16.15, aula Archeologia, Piano terra
Andrea E. Pia (a.e.pia@lse.ac.uk) (LSE), ‘Dripping Water Penetrates the Stone’: for an immanent politics of rage and its material-semiotic entanglements
Water excesses as riotous action is an older theme of Chinese political philosophy. Floods and droughts have long represented challenges to governments’ political legitimacy, “wilderness” encroaching into society and destroying political dominion. Within this political cosmology, the actions of criminals and bandits were usually equated to the disruptive powers of water excesses: drought, floods, and contamination. In modern times, the PRC saw the control of water excesses as the key to a prosperous and stable socialist society. However, post-socialism brought to the fore a novel interpretation of water excesses: the cyclical but unpredictable swelling of the Yangtze River came to represent China’s economic lag as well as the backwardness of its rural masses. Against all these views (and against metaphors of frictionless flow and trickledown effects which routinely undergird capitalist visions of market expansion and reproduction), this paper uses material collected through long-term ethnographic and theoretical engagement with China to foreground different facets of hydrodynamics – water’s capacity to exert pressure on, erode, dissolve, explode solid and symbolic structures and sculpt its own place into them. It does so to articulate a prefigurative politics of water ownership, one that by recuperating rural riotousness extols the emancipatory and transformative powers of rage as a valid substitute for the lack of deliberative reason in the age of environmental inaction.
Jacopo Trivisonno (j.trivisonno@studenti.unimol.it) (Università del Molise), a(e)quivalenze: assetti idrodinamici delle comunità molisane
La ricerca che fa da base a questo contributo guarda all’acqua in quanto patrimonio bioculturale e possibile vettore di comunità di eredità. Posizionarsi dentro la dinamicità di un elemento, così concreto ma così volubile, cala la ricerca su un territorio, quello molisano nel nostro caso, in una prospettiva complessa dal punto di vista analitico. L’approccio che in questo senso ci consente di avvicinarci con più consapevolezza al campo è quello dell’interface analysis, metodologia che ci permette di perseguire un’analisi che sul territorio è in grado di cogliere l’interdipendenza fra i diversi mondi sociali che si sovrappongono ed interagiscono attraverso l’elemento acqua, Van Aken (2012). Guardare le comunità cercare un proprio assetto idrodinamico sul campo, e viceversa, guardare le acque far emergere o sommergere luoghi e relazioni, per comprenderne le dinamiche sul territorio evidenzia lo spessore che l’elemento riveste in quanto medium. Nel contributo che vi presento cercheremo di esplorare attraverso alcuni casi etnografici di gestione e governance delle acque in Molise, come gli assetti del territorio sono cambiati nel corso del tempo, come si articolano oggi ipotizzando infine delle line di prospettiva per il futuro. Attraversando infine le tematiche di attualità, le quali prospettano un’estate particolarmente sensibile da questo punto di vista, guarderemo da vicino le declinazioni che inevitabilmente segneranno la piccola regione italiana.
Elena Fusar Poli (elena.fusarpoli@unimi.it) (Università di Milano), L’acqua nelle vene: curare il corpo-territorio durante la pandemia del Covid-19
Durante la pandemia del Covid-19 diverse comunità indigene e non dello Stato messicano di Oaxaca hanno vissuto una «svolta verso l’interno» [Zibechi:2021] marcata da un’attenzione al territorio e alla comunità, intesi come spazi relazionali comuni a umani e non umani. La pandemia è concepita come una malattia del corpo territorio: il corpo umano non può stare bene se è immerso in una rete di relazioni disarmoniche con gli altri corpi e se incorpora sostanze nocive dalla Terra e dall’acqua che scorre nelle sue vene. Vi è una coincidenza simbolica tra il ciclo dell’acqua e il ciclo della vita umana e della Terra, la cui interruzione minaccia la sopravvivenza del tutto. L’acqua, considerata nella sua multidimensionalità fisica e simbolica, è un legame collettivo tra gli uomini e gli altri enti e viene intesa nei termini di un dono ancestrale e di un bene comune. Non è possibile curarsi dalla pandemia senza prendersi cura dell’acqua: questa considerazione è alla base delle marcate tendenze agroecologiche che hanno iniziato a diffondersi, delle rivendicazioni in difesa dell’acqua e della rideterminazione semantica delle pratiche rituali finalizzate a restaurare tale ciclo vitale. L’intervento, basato su nove mesi di ricerca etnografica, si propone di esplorare le trasformazioni e le ristrutturazioni delle reti relazionali comunitarie nelle aree rurali del sud del Messico a partire dall’acqua come lente liquida e polisemica di osservazione e connessione.
Rita Vianello (rita.vianello@unive.it) (Università Ca’ Foscari Venezia), Percezioni e processi di domesticazione degli spazi acquatici. Il caso studio dei casoni (capanni) dei pescatori della laguna di Venezia
Benché l’acqua sia necessaria per la vita e sia l’elemento che maggiormente coinvolge la sfera dell’emotività più profonda, è in genere percepita dagli umani come elemento estraneo, potenzialmente pericoloso e negativo. Come afferma da Cunha (2019) in genere le persone sperimentano l’acqua dall’altro lato di un confine immaginario che la separa dalla terra. Ma l’acqua è un elemento effimero, transitorio, interstiziale e soprattutto è onnipresente. L’acqua è parte di complessi intrecci, del compenetrarsi a vicenda di figure, simboli, miti e narrazioni che si sono generati dalle relazioni degli umani. Un esempio di tali intrecci è rappresentato dalla laguna veneziana, storicamente e culturalmente caratterizzata da un tipo di vita acquatico e insulare inserito in un processo simbiotico uomo-acqua. Qui l’acqua diventa lo spazio privilegiato delle pratiche quotidiane della popolazione e di cui i capanni da pesca, casoni, sono un esempio caratterizzante. Diventati una componente del lagoon waterscape veneziano e oggetto di una recente ricerca di cui il paper intende presentare i risultati preliminari, i tipici capanni erano costruiti dagli stessi pescatori su palafitte sospese sull’acqua. Tale espressione delle pratiche umane di adattamento all’ambiente sarà analizzata nelle sue fasi evolutive secondo il concetto di hydroperspectivism, un punto d’osservazione che i pescatori lagunari sembrano inconsciamente possedere grazie anche alla costruzione di mappe mentali tridimensionali.
Francesco Danesi della Sala (f.danesi1@campus.unimib.it) (Università di Milano Bicocca), Poetiche della laguna: la pluralità dello spazio, del tempo e della materia in un’ecologia anfibia
La laguna di Goro, nel delta del Po, negli anni Ottanta è stata oggetto di una semina sperimentale di Ruditapes Philippinarum – la vongola delle Filippine –, il cui clamoroso successo ha suscitato in brevissimo tempo radicali trasformazioni socio-ambientali. Le dinamiche accelerate dell’odierna metamorfosi climatica, tuttavia, sono precipitate sull’universo “estrattivo” locale attraverso forme di incertezza, inquietudine e perturbazione culturale inedite. Proliferazioni algali, migrazioni di specie aliene, maree fuori controllo: il risveglio turbolento di numerosi soggetti non-umani sembra in effetti eludere il sapere tecnico-scientifico che ha fin qui orientato il “management” e le politiche della natura locali. L’acqua, in particolare, intesa tanto come collettivo di mescolanze in divenire, quanto come medium di relazioni e infrastrutture – una sorta di iper(s)oggetto, volendo azzardare –, riaffiora come elemento dell’ambiguità, dell’equivoco e della possibile dissoluzione di un mondo. La proposta intende dunque riflettere sull’ecologia anfibia della laguna di Goro, da un lato mostrando le molteplici forme di agentività, corrispondenza e socialità più-che-umane attraverso cui si esprime la venericoltura goranta; dall’altro, mettendo in discussione i concetti di spazio, tempo e materia attraverso l’idea di poetiche ecologiche plurali, irriducibili a un singolo mondo troppo-umano.