Umano, troppo umano. Per un’antropologia critica della quarta rivoluzione industriale
Panel 28 / Quarto Convegno Nazionale SIAC “Il ritorno del sociale”, Sapienza Università di Roma, 21-22-23 settembre 2023
Proponenti: Maddalena Gretel Cammelli (Università di Torino), Stefania Consiliere (Università di Genova), Cecilia Vergnano (KU Leuven)
Abstract
La linea di sviluppo del capitalismo contemporaneo è indicata nell’agenda della quarta rivoluzione industriale, che lega in un unico nesso intelligenza artificiale, biotecnologie e robotica avanzata. Questo movimento produce una riarticolazione dei confini fra biologico, digitale e fisico che chiama in causa l’antropologia e ci interroga sull’esistenza di un limite al di là del quale l’umanità viene ridefinita. La gestione del covid-19 ha prodotto un’accelerazione della digitalizzazione con l’ingesso massiccio del digitale e delle biotecnologie nella vita sociale e nei corpi stessi dei soggetti, provocando un’impennata nel disagio mentale. Andando al di là delle scorciatoie a vario titolo “complottiste” o “fasciste” di critica al progresso, quali strumenti critici possiamo mobilitare, a partire dalle discipline antropologiche, per problematizzare questa specifica direzione di sviluppo? Cosa ne è del sociale e delle ecologie fra umani e non umani quando le relazioni sono mediate da dispositivi digitali? Il panel ospiterà riflessioni teoriche e/o ricerche etnografiche sulle varie forme, incorporate o meno, che la tecnica bio-digitale sta prendendo in questo contesto storico, tra cui: DAD, telelavoro, telemedicina, social networks, utero artificiale, logistica, economia delle piattaforme, umano aumentato, OGM, eugenetica, produzione artificiale di tessuti biologici.
Keywords: umano, digitale, rete, modernità, etnografia
Lingue accettate: Italiano / English
Sessione I
Venerdì 22/9/2023, ore 9.00-10.45, aula Nuova Buonaiuti, Terzo piano
Linda Armano (linda.armano@unive.it) (Università Ca’ Foscari Venezia), DNA come piattaforma per l’archiviazione di big data. Il concetto di “dato” come driver per la digitalizzazione dell’umano
Una delle maggiori preoccupazioni di oggi è la necessità di comprendere come e dove stoccare i dati in modo efficiente ed economico. A questo proposito, si sollevano considerazioni di carattere teorico, metodologico ed etico che derivano dall’incontro tra tecnoscienza, problemi di scarsità delle risorse e questioni antropopoietiche. Si prevede infatti che nel ventennio 2020-2040 un problema a cui andremo incontro sarà la progressiva scarsità di silicio per costruire i microprocessori. Già da qualche anno si è iniziato però ad individuare nel DNA umano una piattaforma alternativa in cui ogni cellula è in grado di stoccare 1,6 Gigabyte. Il DNA non richiede manutenzione e i file archiviati in esso possono essere facilmente copiati a un costo trascurabile. Dal punto di vista tecnologico, i file di dati vengono tradotti dal linguaggio binario di zeri e uno tipico dei computer, ad un codice di quattro lettere proprio del DNA. Di qui è breve il passaggio concettuale per codificare un file di computer binario in una molecola. Considerando il concetto di dato come lente interpretativa, la proposta si interroga sull’alterazione del confine tra umano e non-umano determinata dalla tecnoscienza e dalla biotecnologia in relazione all’interesse di stoccaggio di big data; sull’evoluzione dell’importanza del dato nell’interfaccia tra uso delle tecnologie sull’uomo, la nostra comprensione delle precedenti tradizioni umanistiche e come immaginiamo il futuro dell’umanità.
Mauro Van Aken (mauro.vanaken@unimib.it) (Università di Milano Bicocca), Mediazione digitale come gran partage 4.0: umano fuori dal vivente, società fuori dalla politica, culture fuori da ambienti, organismi fuori da ecologie. E dove mettiamo i desideri di relazioni?
I cambiamenti climatici sono profondamente imbricati all’economia e intermediazione digitale per le dimensioni di accelerazione e surriscaldamento delle metamorfosi ambientali, per la ridefinizione del tempo e dello spazio sociale, per lo slancio epico e le tecnofanie dell’umano o soluzione techno-fix e sempre più emergenziali e potenzialmente autoritarie. Come viene rappresentata, percepita “la natura”, e il naturalismo oggi ampiamente distruttivo, in queste ampie trasformazioni e percezioni? Se da un lato l’intermediazione e consumismo digitale avviano una trasformazione indubbiamente radicale del nostro vivere “il mondo”, le modalità di rappresentazione della natura veicolate amplificano il nostro molto tradizionale ed insostenibile gran partage, come ostacolo nel pensare forme di cambiamento sociale e politico nella crisi dell’economia del carbonio e del suo immaginario in relazione al vivente. Nell’ampia trasformazione di realtà aumentate virtuali, di gamificazione ed engagement, di smaterializzazione del mondo, si fossilizzano alcuni cardini dell’economia del carbonio: l’invenzione della natura come mondo a disposizione, la cosmologia polarizzata tra dentro/fuori dell’umano dall’ambiente, la depolitcizzazione delle nostre relazioni ambientali, assieme ad una realtà digitale ipermateriale ed energivora.
Floriano Milesi (floriano747@gmail.com) (Ricercatore indipendente), Droni e cyborg nel mondo 4.0
La ribalta dei tanti nuovi termini che si succedono rapidamente nel dibattito pubblico e nella comunità accademica tendono a renderci spettatori inermi di una rivoluzione in corso di cui non abbiamo strumenti interpretativi adeguati per elaborarne una analisi critica. L’irruzione degli algoritmi nelle nostre vite tendono a dipingere gli algoritmi come una sorta di divinità imprescrutabile, un mito moderno (Barocas et al., 2013), dove l’essere umano rimane vittima inerme di un dio automatizzato e digitale, un drone telecomandato digitalmente attraverso dispositivi. Eppure, ad uno sguardo più attento, questa grande macchina fatica a distaccarsi dal rinascimentale turco meccanico, automa nel cui cuore si nascondeva un umano e nome, non casuale, della piattaforma di microtasking di Amazon, dove il lavoro umano viene frammentato e si amalgama al lavoro macchinico. A partire dal manifesto cyborg di Donna Haraway, ma anche dalle dense riflessioni di Andy Clark e David Hakken, i confini tra tecnologia, cultura, sociale e animale in questo dibattito appaiono sempre più incerti, ma pongono anche le basi di nuove e inesplorate prospettive. Frutto di una pluriennale ricerca etnografica con i lavoratori Amazon e di riflessione sulle trasformazioni messe in atto da questa azienda questo intervento si propone di mettere al centro del dibattito come le trasformazioni attuali debbano essere spunto per fornire all’antropologia nuovi strumenti analitici e di ricerca.
Matteo Polettini (matteo.polettini@uni.lu) (Università del Lussemburgo); Nives Ladina (nives.ladina@uniroma.it) (Sapienza Università di Roma), No view from nowhere: il problema dell’opacità algoritmica
Dall’uso del GPS per la geolocalizzazione, alle domande ad Alexa e Siri, fino ai suggerimenti di ascolto su Spotify, gli algoritmi non solo parte della nostra quotidianità ma arrivano a cambiare il nostro modo di percepire i rapporti interpersonali. Essi costituiscono un mito della modernità attorno a cui si coagulano poteri diversi, mettendo in luce gli aspetti controversi nella loro incorporazione all’interno delle società umane. Se è vero che le barriere responsabili dell’opacità degli algoritmi di apprendimento automatico sono, in prima istanza, riconducibili ai loro meccanismi interni, occorre ricordare che la loro natura è anche sociale, cioè tali barriere si configurano come atti di separazione tra comunità umane. Allo stesso tempo, il nostro incontro con l’intelligenza artificiale implica la necessità di ri-definire che cosa sia l’intelligenza umana. L’analisi degli algoritmi intesi come artefatti sociotecnici costituirà l’occasione per promuovere una riflessione circa le possibilità di costruire società e creare istanze politiche partendo da dentro le scienze e consapevoli della loro non neutralità. Requisito fondamentale di questo indirizzo risiede nella familiarizzazione con il linguaggio scientifico, il cui esito è una presa di coscienza che consente di sottrarsi al rischio di sterilizzazione delle nostre idee e concezioni. Come possiamo capire il ragionamento di un’intelligenza artificiale a cui è stato insegnato a ragionare come una persona?
Sessione II
Venerdì 22/9/2023, ore 11.15-13.00, aula Nuova Buonaiuti, Terzo piano
Nicolò Atzori (nicoloatzori9@gmail.com) (Università di Sassari), Etnografia digitale ed etnografia del digitale: un racconto di esperienze tra lavoro, distanza, iperconnessione e identità
Mai come nell’ultimo triennio si è dibattuto sulle incombenze della digitalizzazione, il grande sforzo di implementazione e trasformazione ipertecnologica e asociale dei servizi pubblici e privati nelle cui spire andiamo acclimatandoci come in un altrove. Complice la fenomenologia pandemica, uomini e donne, privati dei loro spazi, si sono ritrovati a patire una pressurizzazione psicofisica concretamente sfociata nell’esodo in palinsesti virtuali prima sconosciuti, sì da preservare l’inclinazione relazionale compromessa. La società, d’improvviso, è divenuta ipertelligente senza averne pienamente o affatto coscienza. Se il cambiamento sembra essere intrinsecamente tendente all’esclusione di un prima, di una condizione originale, si nota come fra i caratteri più insidiosi del digitale emergano quelli legati alla nuova costruzione classificatoria del sé e del noi, ora demandata all’asettico regime dell’algoritmo. Questo, però, riguarda anche coloro i quali hanno scoperto nelle implicazioni operazionali della digitalizzazione un’estensione del proprio lavoro, una sua totale trasformazione o una nuova modalità d’impiego. Dove si situa l’antropologia rispetto alla categoria dei lavoratori della comunicazione, esclusi dal dibattito politico? Come questi percepiscono il proprio ruolo rispetto all’esterno, se questo risulta pensabile? Dove si situa il confine tra lavoro digitale e “tempo libero”? Il contributo intende suggerire una risposta etnografica a questi ed altri quesiti.
Oana Maria Mateescu (oana.mateescu@ubbcluj.ro) (Babes-Bolyai University), Digital labor and the politics of abstraction
Based on comparative research in Bologna (Italy) and Cluj-Napoca (Romania), this paper explores the politics of tech workers contending with rapid technological change (including automation) while navigating the ever more precarious labor landscape of contemporary capitalism. The focus is on youth who went through programs of digital reconversion to reinvent themselves as tech workers (programmers, testers, videogame designers, etc.) worthy of rewarding, well-paid jobs. Politics stands here for the meaning and scope of political action in a global context that posits a digitally induced end to politics (post-politics, anti-politics and/or hyperpolitics). In an ethnographic key, the relationship between politics and digital technologies is (re)configured as part of everyday labor processes. How do the digital tools employed in everyday labor (programming languages, game engines, machine learning, etc.) impinge upon workers’ understanding of political action? What forms of collective action are prescribed by these technologies? Digital labor is rife with abstractions and black-boxing – becoming socialized in these abstractions often comes at the cost of bracketing the social and the political. While work with abstraction is generally assumed to lead to a politics subsumed by technological solutionism, this paper also emphasizes those few alternatives and shortcuts that workers imagine as they carve out a potentially new space and vocabulary for political action.
Stefano Boni (sboni@unimore.it) (Università di Modena e Reggio Emilia), Critica tecnologica e distopie transumane nel movimento no Green Pass
Il contributo è centrato sulla visione emica degli attivisti no Green Pass rispetto al nostro futuro tecnologico. La ricerca è stata condotta in Toscana ed Emilia Romagna nel corso del 2022 e 2023 tramite interviste e partecipazione agli eventi. L’intento è di approfondire le pratiche contemporanee di opposizione radicale alle politiche “mondialiste” cercando di decifrare il senso delle obiezioni mosse dal movimento alle politiche contemporanee, oltre le banalizzazioni mediatiche. Il movimento no Green Pass parte da una critica all’accentramento del capitale (nelle multinazionali) e del controllo (nei governi) e vede nelle innovazioni tecnologiche degli ultimi anni dispositivi finalizzati ad amplificare un preoccupante sconvolgimento delle relazioni tra esseri umani e tra questi e l’ambiente. La critica investe in maniera trasversale le tecnologie partendo da quelle mediche (vaccini ad Mrna) ritenute nocive; la digitalizzazione delle identità (Green Pass) potenziale facilitatrice del credito sociale cinese; la proliferazione di biolaboratori; la digitalizzazione dei servizi (acqua, gas e luce); l’uso del cellulare, dispositivo intercettabile e sorvegliato. Queste trasformazioni delineano una deriva trans-umana associata a scenari apocalittici. La resistenza al capitalismo mondiale è una faticosa ri-appropriazione dei mezzi tecnici privilegiando l’autonomia e la localizzazione combinati con una ritrovata connessione spirituale alla Natura.
Enea Delfino (enea.delfino@gmail.com) Fondazione Mamre Onlus, Torino); Cristina Zavaroni (cristina.zavaroni@unito.it) (Università di Genova), Una modesta etnografia dell’infanzia postpandemica
In Italia, tra il febbraio 2020 e il giugno 2022, le misure di contenimento pandemico e la digitalizzazione coatta delle relazioni sociali hanno causato una profonda modificazione delle circostanze mentali, affettive e sociali dello sviluppo dei bambini di età prescolare e scolare. Come antropologi consulenti presso la Fondazione Mamre di Torino, nei primi mesi del 2023, abbiamo ideato e condotto 5 laboratori con insegnanti delle scuole dell’infanzia e educatori e educatrici degli asili nido del comune di Torino, oltre a numerose consulenze, supervisioni e mediazioni, per un totale di circa 120 insegnanti e educatori che fanno riferimento a quasi 2000 bambini tra 1 e 6 anni di età. La prima infanzia in Italia è comunemente intesa come fase della vita che necessità eminentemente di un contesto familiare e secondariamente di una comunità scolare. A partire del nostro rilievo etnografico, l’ipotesi che proponiamo è che il venire meno di un terzo ambito, spesso trascurato, quello del Sociale “umano”, inteso come sincizio che connette i nuclei e permette il loro processo vitale (A. Guerci 2007), e la sua parziale sostituzione con un sociale “digitale” sia alla base delle difficoltà evolutive riscontrate. Questo intervento, quindi, s’incentra sull’andamento di alcune condizioni – e, in particolare, il ritardo nello sviluppo linguistico e nelle capacità attentive e le scarse competenze sociali, che si riscontrano in modo massiccio nella popolazione scolare oggetto di questo studio.