Risocializzare i monumenti. I simboli del passato tra conservazione e critica culturale
Panel 19 / Quarto Convegno Nazionale SIAC “Il ritorno del sociale”, Sapienza Università di Roma, 21-22-23 settembre 2023
Proponenti: Francesco Aliberti (Sapienza Università di Roma), Fulvio Cozza (Sapienza Università di Roma)
Abstract
Dalle proteste contro le diverse forme di discriminazione al ripensamento del passato fascista, colonialista e schiavista passando per le dimostrazioni dell’attivismo ambientalista e animalista, ciò che accomuna queste ed altre forme di critica culturale è che hanno indicato il patrimonio artistico e monumentale come obbiettivo o luogo di rivendicazione politica. Tali istanze, lungi dall’essere isomorfe a livello globale, possono essere lette etnograficamente come declinazioni locali di un più ampio flusso di idee sulle forme di rappresentazione sociale nello spazio pubblico. Si registrano infatti diversi tentativi di abitare il patrimonio che, se da un lato hanno messo in questione i valori di giustizia, umanità, di gruppo sociale, di nazione e di comunità, allo stesso tempo hanno ribadito l’importanza rivestita dai monumenti e dalle risorse culturali per i soggetti che vivono e attraversano una determinata località. Facendo tesoro della prospettiva etnografica e comparativa, il panel è aperto a contributi che riflettano sulle dinamiche sociali e culturali di queste contestazioni, sul rapporto esistente tra spazi monumentali, pubblico e critica culturale nonché sugli strumenti che può offrire la tradizione di studi antropologici italiani riguardo a fenomeni in parte inediti e di portata globale.
Keywords: monumenti, patrimonio culturale, difficult heritage, memoria
Lingue accettate: Italiano / English
Sessione I
Venerdì 22/9/2023, ore 9.00-10.45, aula III Multimediale, Primo piano
Ivan Bargna (ivan.bargna@unimib.it) (Università di Milano Bicocca), Vita sociale ed economia della visibilità dei monumenti
Quella dei monumenti è un’esistenza paradossale che ricorda quella dei morti viventi: costruiti per ricordare, autorizzano a dimenticare, diventando invisibili anche se esposti in piena luce. Memoria delegata alla materialità, che ci esenta dal ricordare. E tuttavia quella dell’invisibilità, non è una proprietà delle cose, quanto una qualità della relazione: sì è invisibili solo allo sguardo di qualcuno e sempre sotto un centro profilo. Se i monumenti diventano invisibili non è perché li perdiamo di vista, ma perché, proprio nel marcare lo spazio pubblico, diventano parte integrante di un paesaggio normalizzato, come se fossero lì da sempre e per sempre. Il fatto che perdano la loro salienza percettiva è la prova della loro efficacia nel consolidare l’ordine vigente oscurando coloro che restano esclusi, per i quali invece questi monumenti continuano a essere visibili e tanto più dolorosi quanto invisibili agli altri. Se i monumenti possono assopirsi, si risvegliano quando sono oggetto di contestazione ed è proprio lì che diventano più importanti, come catalizzatori che offrono un punto d’ancoraggio materiale e sensoriale allo stare insieme e contro qualcun altro. Il fatto che possano essere attaccati e distrutti non va visto allora come un accidente o una perdita, ma come parte costitutiva della loro vita sociale, della fragilità che si lega la loro materialità, dell’essere arma e posta in gioco di conflitti che li vedono nascere e morire.
Carmelo Russo (carmelo.russo@uniroma1.it) (Sapienza Università di Roma), Tunisia indipendente di fronte agli edifici cattolici tra cancel culture, riconversioni, risemantizzazioni
La presenza cristiana nella Tunisia moderna ebbe ragione fondativa nella data del 20 aprile 1624, quando Papa Urbano VIII creò la missione dei cappuccini italiani a Tunisi con il breve Dilecto filio per assistere i numerosi schiavi cristiani nella Reggenza (Sebag 1998). L’instaurazione del protettorato francese (1881) rafforzò la presenza cattolica e programmò una penetrazione capillare per mezzo di istituti di istruzione e con l’impegno dei Padri Bianchi, capaci di “mescolarsi” tra europei e tunisini (Pasotti 1979). L’indipendenza (1956) comportò la necessità di rinegoziare le relazioni con la Santa Sede, ridimensionando l’impronta cattolica nel Paese, associata al dominio europeo: nel 1964 fu ratificato il Modus vivendi. Il contributo vuole indagare la gestione politica, simbolica e pratica del patrimonio immobiliare cattolico da parte dello Stato tunisino indipendente in quanto “lascito protettorale”. Si vuole analizzare i diversi modi in cui lo Stato si è posto di fronte ai diversi edifici – 78 parrocchie e oltre 100 tra chiese e cappelle – evidenziandone strategie “a geometria variabile” con cui legittimare abbattimenti, riconversione in luoghi di pubblica utilità, conservazione delle funzioni cultuali cattoliche, seguendo retoriche in cui esigenze di cancel culture hanno incontrato processi di patrimonializzazione, consenso nella politica interna e estera, ricostruzioni identitarie, inserimento in nuovi circuiti turistici (Iuso 2018 e 2022; Fabre e Iuso 2010).
Anna Iuso (anna.iuso@uniroma1.it) (Sapienza Università di Roma), Storia e memoria nella semantica dello spazio pubblico. Il contrattacco di Rodolfo Graziani
Questo contributo parte dall’assunto che lo spazio pubblico è uno spazio semantico dove storia e memoria vengono inscritti per tentare di forgiare identità e memorie collettive. Inscrivendo in questo spazio date, eventi e personaggi con l’uso della toponomastica e/o dei monumenti, le istituzioni dettano la rappresentazione politica di intere comunità. A volte, a fronte del mutamento della temperie culturale (ad esempio l’epoca della cancel culture), o di eventi che in breve tempo sovvertono il discorso politico e ideologico (guerre, cadute di regimi) le richieste di intervento sullo spazio pubblico diventano occasioni di proposte di riscrittura della storia. Tutto ciò, se si considera che l’uso tattico dello spazio pubblico patrimoniale venga sempre dal basso. A volte invece sono le istituzioni ad assumere un atteggiamento tattico, e a tentare di cesellare lo spazio pubblico schivando la sensibilità politica di buona parte della società civile locale, e delle sfere istituzionali più alte. È in questo senso che viene letto il caso etnografico della gestione della memoria di Rodolfo Graziani: in pieno regime di cancel culture i comuni di Filettino e di Affile, dove il «Maresciallo d’Italia» è nato ed è vissuto, in nome della valorizzazione culturale locale, hanno creato il «Museo al Soldato» schivando le critiche della società civile e la potenziale opposizione delle istituzioni regionali e nazionali.
Luca Jourdan (luca.jourdan@unibo.it) (Università di Bologna), Monumenti contesi: un’indagine etnografica a Odessa
A partire dagli anni Novanta, nelle ex-repubbliche sovietiche si è assistito a un processo di decomunistizzazione che ha riguardato la cultura in toto, con un’enfasi particolare sulla storia e sulla memoria. Lo spazio pubblico, i monumenti e la toponomastica sono al centro di questo fenomeno che si è concretizzato in numerosi abbattimenti e sostituzioni di statue, nel cambio dei nomi delle vie e talvolta delle stesse città. Al pari delle altre ex-repubbliche, anche l’Ucraina ha conosciuto questo processo che la guerra ha inevitabilmente esacerbato, trasformandolo in un tentativo di radicale de-russificazione dello spazio pubblico. Odessa, la perla del Mar Nero dove nell’estate del 2022 ho condotto una breve ricerca sul campo, è un laboratorio privilegiato per analizzare le dinamiche di questo processo. Questa città, prevalentemente russofona e di cultura russa, conosce oggigiorno un travaglio identitario particolarmente acuto: la statua di Caterina II è stata rimossa, numerosi monumenti sono oggetto di conflitti così come le vie cittadine. A partire da un approccio etnografico, questo paper vuole gettare luce sulle tensioni generate dalla decomunistizzazione e dalla derussificazione dello spazio pubblico di Odessa, laddove la guerra spinge le istituzioni a ridisegnare lo spazio urbano e numerosi abitanti della città a reinventare la propria identità culturale in un processo di rimozione, spesso doloroso e spaesante, di quanto viene percepito essere di origine russa.
Sessione II
Venerdì 22/9/2023, ore 11.15-13.00, aula III Multimediale, Primo piano
Esterina Incollingo (e.incollingo@studenti.unimol.it) (Università del Molise), Riappropriazione, accessibilità e fruizione inclusiva dei saperi e dei luoghi attraverso una narrazione emozionale: il caso pratico di Ti Guido Io
Tutt’oggi una parte della popolazione è limitata o addirittura esclusa dall’accesso e dalla fruizione di un sapere, di un bene o di uno spazio e, dunque, impossibilitata a beneficiarne. Le restrizioni messe in atto negli ultimi anni a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19 hanno ulteriormente acuito le criticità di quei soggetti purtroppo già sfavoriti nel godimento di alcuni diritti e servizi. L’applicazione e la sperimentazione delle ICT all’interno di usi e contesti dell’educazione, della comunicazione e della promozione culturale potrebbero decisamente influire in modo proficuo e funzionale sull’accessibilità degli spazi e dei saperi, offrendo una risposta a tutti coloro che, provvisoriamente o definitivamente, presentano una qualsiasi insufficienza o difficoltà, e tentando di eliminare qualsiasi ostacolo volto a minacciare l’accesso alla cultura di ciascun individuo. Con il presente intervento s’intende riflettere sul possibile dialogo tra il patrimonio culturale, le ICT e le nuove strategie comunicative, che permetterebbe un’estensione della fruizione e una riappropriazione dei luoghi, dei monumenti e delle conoscenze anche a coloro finora esclusi da tali dinamiche socio-culturali. È in questo contesto che si inserisce il caso pratico di “Ti guido io”, uno storytelling emozionale elaborato per garantire a tutti, compresi non vedenti e non udenti, una fruizione inclusiva e digitale degli spazi della chiesa di San Leonardo abate in Colli a Volturno (IS).
Michelangelo Giampaoli (m.giampaoli@depaul.edu) (DePaul University), Cristoforo Colombo: The easy target
Gli eventi che hanno portato all’uccisione di George Floyd a Minneapolis nel 2020 hanno scatenato un’ondata di legittimo sdegno contro la violenza delle forze dell’ordine e il razzismo strutturale cui essa è connessa. Oltre alla polizia e a parte della politica, anche un certo numero di figure storiche e i monumenti che le ricordano sono divenuti bersaglio di proteste che hanno portato al vandalismo e, in molti casi, alla rimozione di molte di queste statue. Tra i principali obiettivi vi sono state le tante statue che, in molte città americane, ricordano Cristoforo Colombo. Eletto a simbolo quintessenziale del colonialismo europeo da alcune organizzazioni e da parte della stampa, il navigatore genovese è, tuttavia, anche il simbolo per eccellenza della diaspora italiana avvenuta tra la fine dell’800 e la metà del 900, la più grande emigrazione volontaria nella storia moderna. Perché, in un contesto storico come quello statunitense in cui si continuano a celebrare personalità che pure ebbero ruoli importanti nella storia della schiavitù, della segregazione razziale e del genocidio dei nativi, parte dei movimenti di giustizia sociale ha scelto come bersaglio proprio il principale simbolo della comunità italiana? A cosa sono servite le vibranti, seppur pacifiche, proteste delle locali comunità italo-americane? È plausibile per la democrazia americana che la legittima richiesta di maggiori diritti per le minoranze etniche sia fondata (anche) sull’attacco a un determinato gruppo?
Emanuela Canghiari (emanuelacanghiari@gmail.com) (FNRS – Université Catholique de Louvain – IFEA), Usi contestatari del patrimonio: prospettive decoloniali nell’opera di artisti contemporanei latino-americani
Questo intervento analizza gli usi rivendicativi e contestatari dei simboli del passato, a partire dalle produzioni di artisti latino-americani contemporanei. Il patrimonio storico e archeologico, spesso presentato come oggetto di una trasmissione e di un’istituzionalizzazione consensuali, è sempre più contestato e messo in discussione da collettivi provenienti da contesti postcoloniali. Gli artisti, spesso membri di gruppi minorizzati (a livello di classe, genere e/o classe), si appropriano degli spazi e degli oggetti elevati a rango di simboli identitari nazionali, frantumando le immagini univoche del patrimonio, che considerano costruito storicamente come intoccabile, fisso e monopolio delle istituzioni. Dissacrano, alterano e manipolano i resti del passato, per proporre una narrativa multivocale, più egualitaria e inclusiva. Così, dalle arti plastiche alla performance, queste intervenzioni permettono d’interrogare il rapporto tra arte, patrimonio e protesta. Come ogni riappropriazione del passato, queste opere non sono prive di contraddizioni e ambiguità. Ne esploreremo quindi i limiti e il potenziale, così come la loro iscrizione critica nei dibattiti post- e decoloniali che, a partire dagli anni Novanta, hanno segnato queste pratiche.
Valeria Bellomia (valeria.bellomia@uniroma1.it) (Sapienza Università di Roma), Affilare il machete sulla stele: si può? Forme di risocializzare il passato archeologico in Messico
Il ricco patrimonio archeologico del Messico preispanico offre una serie di interessanti occasioni per riflettere su come il glorioso passato indigeno, che ha un peso importante nella costruzione dell’identità nazionale del Paese, viene risignificato e risocializzato in una dimensione locale secondo modalità diverse e spesso in dissonanza fra di loro. Questo intervento si propone di presentare alcuni casi di studio, per lo più di ambito, che esemplificano come a più livelli il patrimonio archeologico cui attingono le politiche identitarie si trasforma in terreno di conflitti, frizioni, contestazioni e strappi, ma è anche capace di generare tentativi di negoziazione e compromesso fra il globale e il locale, obbligando gli attori sociali coinvolti a rimettere in discussione valori e priorità. Quali sono le implicazioni sociali dei processi di costruzione della memoria che prendono il via proprio dalla materialità del passato archeologico? Come affrontare le declinazioni locali delle varie forme di rappresentare, musealizzare ma anche di entrare in relazione con spazi monumentali, oggetti e contesti provenienti dal passato precoloniale? Scopo dell’analisi sarà dimostrare la necessità di un dibattito di respiro interdisciplinare e inclusivo, che tenga conto delle istanze dei diversi portatori di interesse, meticci, indigeni, stranieri, ricercatori, cittadini urbanizzati o di contesti rurali, che orbitano attorno all’idea di patrimonio culturale nel Messico contemporaneo.