Mobilità interconnesse e trasformazioni del sociale nello spazio est europeo
Panel 06 / Quarto Convegno Nazionale SIAC “Il ritorno del sociale”, Sapienza Università di Roma, 21-22-23 settembre 2023
Proponenti: Federica Tarabusi (Università di Bologna), Pietro Cingolani (Università di Bologna)
Abstract
Nel solco di una riflessione antropologica sull’area, il panel intende analizzare le forme interconnesse di mobilità sviluppatesi nell’Europa sud e centro-orientale a seguito delle vicende che l’hanno, spesso drammaticamente, interessata: conflitto in Ucraina, pandemia Covid-19, crisi dei rifugiati lungo le rotte migratorie transcontinentali e dopo il conflitto ex jugoslavo, migrazioni lavorative e di ritorno, flussi turistici, ecc. Tali variegate forme di mobilità transnazionale forniscono infatti una prospettiva innovativa per cogliere le interdipendenze tra fenomeni spesso trattati separatamente, quali le migrazioni, la ridefinizione di confini nello scenario europeo, la convivenza di forme di razzializzazione e solidarietà nell’accoglienza di profughi, la circolazione di risorse umane e materiali che produce nuove interrelazioni tra le regioni orientali e il resto d’Europa. Si intende pertanto esplorare come, attraverso le mobilità interconnesse, il sociale e la società vengano immaginati, contestati e ricreati all’interno dello spazio est europeo, e tra questo spazio e l’altrove. Sono benvenuti contributi etnografici che riflettano sulle teorizzazioni delle categorie sociali e sulla loro percezione e messa in pratica nella quotidianità, a partire orientativamente dalle seguenti aree tematiche: migrazioni transnazionali; trasformazione postsocialista e riforme neoliberali; intervento internazionale e governo umanitario; spinte sovraniste, separatiste ed etnonazionalismi.
Keywords: mobilità, interconnessione, Est Europa, transnazionalismo, relazioni e categorie sociali
Lingue accettate: Italiano / English
Sessione I
Giovedì 21/9/23, ore 14.30-16.15, aula II Facoltà, Primo piano
Pietro Cingolani (pietro.cingolani2@unibo.it) (Università di Bologna), Dalle mobilità transnazionali alle nuove (im)mobilità nello spazio sociale e culturale romeno
Da uno sguardo alla storia degli studi etnografici in area romena, condotti sia da antropologi autoctoni che stranieri, emerge come il tema delle mobilità si sia affermato solo recentemente. Per lungo tempo infatti non sono state oggetto di ricerca e di riflessione antropologica, suscitando perlopiù l’attenzione di demografi e sociologi. Dalla fine degli anni Novanta si sono consolidati studi antropologici sulle migrazioni transnazionali e, più di recente, sulle migrazioni di ritorno. Negli ultimissimi anni, infine, come risposta al mobility turn nelle scienze sociali, è emerso un interesse per le interconnessioni tra diverse (im)mobilità che percorrono lo spazio sociale e culturale romeno. Nel presente contributo, basato su dati etnografici raccolti per oltre due decenni in differenti regioni della Romania, dalla Moldavia, al Banato, alla Transilvania, si rifletterà sui complessi e non scontati nessi tra le esperienze e le rappresentazioni di soggetti stanziali, di migranti di ritorno, di immigrati per lavoro, di turisti internazionali, di migranti forzati, e di appartenenti a minoranze etniche, sullo sfondo di tre importanti avvenimenti di natura geo-politica: l’ingresso della Romania in Europa nel 2007, la pandemia Covid-19 nel 2020, e la guerra in Ucraina nel 2022. Oltre a evidenziare le interconnessioni a livello concreto, si rifletterà come le stesse categorie analitiche usate per descrivere queste im(mobilità) debbano essere problematizzate e ridiscusse.
Sabrina Tosi Cambini (sabrina.tosicambini@unipr.it) (Università di Parma), Ridefinizione delle “località” in villaggi della Romania del sud e costruzione di spazi “familiari” europei. Riflessioni a partire da una etnografia multisituata di lungo periodo
Il contributo vuole soffermarsi sulle circolarità trasformative fra gli spazi dei villaggi della Romania rurale del sud e quelli dell’emigrazione nelle città dell’ovest europeo, attraverso la dinamicità delle reti parentali di un network di famiglie, e l’intreccio fra spazio genealogico, geografico e storico. Al centro di questa riflessione troviamo anche la costruzione-decostruzione-ricostruzione di multi-confini – culturali (dove l’ “etnicizzazione” perde o acquista senso a seconda dei contesti di riferimento), religiosi, generazionali, percettivi, emotivi – che contribuiscono a fare un “est” e un “ovest” che proveremo a declinare attraverso l’esperienza migratoria di nostro riferimento. In tale esperienza, inoltre, la valutazione da parte del network familiare dei sistemi di protezione sociale dei Paesi può essere un aspetto non secondario delle decisioni nei percorsi/processi migratori.
Alexandru Laurentiu Cohal (alexandru.laurentiu.cohal@gmail.com) (Accademia Romena, Iași), Ucraini rifugiati di guerra a Iași (Romania), un incontro culturale inaspettato
A Iași, la più grande città al confine fra la Romania e la Repubblica Moldova, vivono circa 5000 rifugiati di guerra ucraini (soprattutto madri con figli(e)), di cui più del 60% sono famiglie di marinai, interessate già prima della guerra dalla mobilità internazionale. Dalla ricerca sul campo, in cui sono stati intervistati i rifugiati, i volontari delle associazioni dedite all’accoglienza (romeni e ucraini) e le istituzioni, risulta un quadro complesso e in parte inaspettato, in cui gli ucraini, soprattutto le famiglie di marinai, sperimentano la fase di ‘decompensazione’ del loro vissuto migratorio, in cui appaiono alcuni conflitti identitari non riconducibili al tipo di pericolo della fase iniziale dell’accoglienza, e che potrebbero relazionarsi con il vissuto famigliare di prima della guerra, influenzato dalla mobilità lavorativa delle figure maschili. Sullo sfondo della diminuzione della simpatia romena nei confronti delle vittime di guerra (l’attenzione pubblica si è rivolta nel frattempo verso le vittime del terremoto in Turchia), gli ucraini positivano la loro identità negoziando fra la riscoperta degli etnonazionalismi (attorno alla lingua, l’etnia e la storia), sui quali sono fondate le società moderne dell’Est Europa, e la riscoperta dell’europeità, quest’ultima intesa come emancipazione dal mondo post-sovietico, e di cui la Romania, il paese ospitante, sembra essere un buon esempio.
Francesco Vietti (francesco.vietti@unito.it) (Università di Torino), “MOLDOVA PENTRU PACE”. Gestione dei confini, discorsi sulla neutralità e pratiche di accoglienza dei profughi ucraini in Moldavia
A partire dal febbraio 2022, circa 800.000 cittadini ucraini sono transitati dalla Repubblica Moldova fuggendo del conflitto in corso. Molti di loro hanno proseguito il viaggio verso altri paesi, mentre circa 100.000 persone si sono fermate in Moldavia all’interno di un sistema di accoglienza organizzato dall’UNHCR e da altre organizzazioni internazionali, ma che si è retto soprattutto sul coinvolgimento di privati cittadini e sull’utilizzo delle strutture normalmente utilizzate per l’ospitalità turistica. Il mio contributo intende riflettere sulla guerra in Ucraina osservandone l’impatto sulla società moldava: mi soffermerò in particolare su quanto è accaduto negli scorsi mesi nelle zone di confine, nei campi allestiti per i migranti e nei centri di accoglienza dislocati anche nelle regioni della Gagauzia e della Transnistria; discuterò inoltre le narrazioni pubbliche e le pratiche di attivismo che ruotano attorno alle categorie di neutralità e pace. Il paper si basa su di un’esplorazione etnografica condotta in Moldavia nei mesi di agosto-settembre 2022 e sul dialogo a distanza intrattenuto nei mesi successivi con i colleghi ricercatori e gli attivisti moldavi conosciuti sul campo.
Sessione II
Giovedì 21/9/23, ore 16.45-18.30, aula II Facoltà, Primo piano
Zaira Tiziana Lofranco (zaira.lofranco@gmail.com) (Università di Bologna), Oltre il “doppio transito”: stratificazioni e interconnessioni di mobilità nella Bosnia Erzegovina contemporanea
La Bosnia Erzegovina (BiH) è stata recentemente definita una zona di “doppio transito”: quello dei cittadini Bosniaci che tentano di emigrare nei vicini paesi dell’UE e quello delle persone in movimento lungo la così detta Rotta Balcanica. Questa definizione, che tenta di fotografare le dinamiche migratorie attuali, riproduce parallelamente l’idea di una mobilità in uscita e senza ritorno come tratto distintivo di un paese che ha vissuto l’emigrazione dei guest workers jugoslavi e l’esodo dei profughi degli anni ’90. Il paper sostiene, invece, la necessità di mettere a fuoco i diversi circuiti di mobilità che interessano la BiH, considerandone le interconnessioni e le stratificazioni storiche in una prospettiva transnazionale alle migrazioni, che concettualizza la direzionalità e la temporalità del percorso migratorio come il prodotto di un continuum tra forme della mobilita interna, internazionale e transnazionale. Con questo approccio si intendono analizzare etnograficamente le interazioni sociali tra cittadini bosniaci e profughi in transito le cui sorti sono fortemente influenzate da fenomeni globali con una loro profondità storica come i conflitti e la ristrutturazione capitalista del mercato del lavoro. Si cercherà di comprendere in che misura le categorie sociali prodotte in tale contesto, mobilitino quadri interpretativi di tipo nazional-statale o etno-nazionalista, e in che modo questi vengano rimaneggiati o sovvertiti dall’emergere di nuove forme di solidarietà
Damiano Gallinaro (damiano.gallinaro@gmail.com) (ANPIA), Differenti forme di mobilità e di accoglienza sulle rive del Tibisco: in viaggio tra Timisoara e Subotica
La recente “crisi umanitaria” legata alla guerra che drammaticamente da più di un anno sconvolge il territorio ucraino, ha finito per incidere nel corso dei mesi anche sulle vite del “popolo in movimento” che, negli ultimi anni, cerca altrettanto drammaticamente la via verso e attraverso la “Fortezza Europa”. L’applicazione della Direttiva di protezione temporanea, applicata per la prima volta nella storia della UE, e che prevede la proroga della protezione per i soli rifugiati ucraini fino al 2025, ha di fatto standardizzato un sistema di accoglienza e protezione che crea una forte stigmatizzazione e acuisce ancora di più la differenza tra persone che fuggono da un paese terzo all’Unione, ma che presumiamo e assumiamo condividano i “nostri valori”, e gli “altri” che fuggono da guerre che percepiamo troppo lontane e con cui diventa difficile “empatizzare”. Questo sistema di “doppia accoglienza” è evidente soprattutto in alcune aree di confine dove le persone in viaggio sulle “rotte balcaniche” si sfiorano, spesso senza incontrarsi, con chi fugge dal conflitto in corso, creando anche sul territorio differenti narrative e riconfigurazioni. La riflessione che si propone è frutto di un lavoro di campo realizzato, attraverso etnografie brevi nel territorio transfrontaliero, compreso tra la città di Timisoara in Romania, Horgos, Subotica e Sombor in Serbia e Roszke in Ungheria, da sempre interessato, nel corso dei secoli, da scambi e contatti tra varie culture di confine.
Marco Buttino (marco.buttino@unito.it) (Università di Torino), I tatari di Crimea dopo la deportazione: la produzione di luoghi e la creazione di un’identità collettiva
Nell’ultimo anno migliaia di ucraini e di russi sono stati deportati o sono fuggiti dalla guerra. I loro percorsi lasciano tracce discontinue ed effimere in luoghi di accoglienza o detenzione. Il paper tratta dei Tatari di Crimea nel periodo che inizia con la deportazione in Asia centrale nel corso della seconda guerra mondiale e si conclude con il ritorno in Crimea dopo la fine dell’URSS. Si tratta di un periodo di discontinuità e cambiamento, trascurato o mal interpretato dalle storie nazionali, che generalmente sottolineano continuità di lungo periodo e non vedono il continuo trasformarsi, rinegoziarsi e ricrearsi delle appartenenze collettive. Tema centrale del paper è la produzione di località quale frutto dell’arrivo dei deportati e del loro farsi spazio contrattando sia con le autorità, sia con gli attori sociali locali. Abbino un’attenzione etnografica nella lettura del territorio ad un approccio di storia sociale volto a leggere il cambiamento nel carattere precario delle situazioni di compromesso. A livello micro, si scoprono dinamiche che sono connesse a, e spiegano, fenomeni di scala più ampia (spostamenti di popolazione, formazione di soggetti collettivi, produzione di località, trasformazione urbana). Il paper nasce da una ricerca sul campo, da alcune decine di interviste, da uno studio del territorio, dalla raccolta di documenti nell’archivio cittadino e da una riflessione sulla letteratura. Il terreno della ricerca è una periferia di Samarcanda.
Luca Villaggi (luca.villaggi@phd.unipd.it) (Università di Padova), Trasformazioni della cittadinanza e del lavoro sociale nello spazio Est Europeo. Il caso della Polonia
Le crisi degli ultimi anni hanno investito il settore sociale e assistenziale e amplificato l’impatto delle politiche neoliberali in termini di deterioramento delle condizioni lavorative di operatori e operatrici e progressiva erosione dei diritti sociali. La trasformazione postsocialista dell’Europa Orientale offre un terreno di analisi cruciale delle ristrutturazioni dei modelli di welfare e cittadinanza sociale nello spazio europeo. Se la terapia d’urto degli anni ’90 si associa all’allargamento dei diritti civili e politici, la ricostruzione dei diritti sociali è ancora meno lineare e si incardina nell’attuazione di politiche selettive e compensative della perdita di precedenti forme di sostegno sociale piuttosto che di prestazioni universali. La governance sovranista emergente nella regione ridefinisce le forme della cittadinanza in termini identitari ed escludenti, oscillando tra politiche disciplinari e workfariste in Ungheria e parzialmente espansive e al contempo familiste e conservatrici in Polonia. Sulla base di una ricerca condotta nella città di Wrocław (Polonia), il contributo analizza come le trasformazioni dei modelli di cittadinanza sociale incidano sulle condizioni lavorative di operatori e operatrici impiegati in varie istituzioni di assistenza sociale – rivolte a persone non autosufficienti, migranti e socialmente marginalizzate – e come si materializzino e vengano riprodotte, negoziate o contestate nei loro processi e nelle loro pratiche lavorative.