Gli allievi del prof. Gian Luigi Bravo, recentemente scomparso, ricordano la sua autorevole figura della vita accademica italiana e internazionale.
È mancato nel tempo dei rituali dodici giorni dell’eterno ritorno Gian Luigi Bravo, professore di Antropologia culturale, autorevole figura della vita accademica italiana e internazionale.
Laureato in Filosofia con Nicola Abbagnano presso l’Università di Torino, ha usufruito di una borsa di studio presso l’Università di Mosca. Due anni in cui ha appreso la lingua che gli ha permesso di approfondire la conoscenza del formalismo russo traducendo e analizzando l’opera di Vladimir Jakovlevič Propp. Una traiettoria inedita al dibattito scientifico dell’Occidente. Tornato in Italia ha iniziato la carriera universitaria nell’Istituto di Sociologia come assistente ordinario presso la cattedra di Sociologia tenuta dal professor Luciano Gallino. Associato di Sociologia urbana e rurale, ha insegnato nelle Facoltà di Magistero e di Scienze della Formazione. Ha concluso la sua attività universitaria come professore ordinario di Antropologia culturale presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Torino. Ha fondato e diretto negli anni Settanta il Laboratorio etnografico per l’Italia Nord-Occidentale, LEINO, presso l’Istituto di Sociologia dell’Università di Torino. Ha partecipato propositivamente al dibattito antropologico gramsciano promosso da Alberto Mario Cirese con una nuova generazione di studiosi di diverse università denominato TOFISIROCA. Un luogo di dibattito scientifico in cui Bravo ha contribuito all’introduzione dell’informatica per il progetto di un Regesto gramsciano quale tratto di conoscenza determinante per il futuro della disciplina e tecnica per lo sviluppo multimediale dei dati di cultura. È stato presidente del Centro Studi Cesare Pavese, dell’Associazione Italiana Scienze Etnoantropologiche e ha vinto il premio Costantino Nigra per il manuale di ricerca Italiani.
Nella sua lunga carriera Gian Luigi ha dato vita ad originali quadri teorici e di terreno che hanno permesso di stabilire fecondi, rigorosi e innovativi collegamenti tra la sociologia e l’antropologia. Un’indispensabile scientifica armonizzazione tra discipline di cui è stato anticipatore che gli è costata anche molti sacrifici e incomprensioni accademiche. Un interpretativo progetto complesso, olistico, che nasceva dall’interesse sempre più forte per il mondo delle campagne della tradizione, per il concetto di comunità, per il rapporto città/campagna e per la pendolarità tra formazioni sociali. Complessivamente una lettura ardita e originale che Gian Luigi ha condotto con impegno, indagando in modo approfondito e originale l’istituto folklorico delle feste, i musei etnografici, l’invenzione della tradizione, le piccole patrie, i processi di patrimonializzazione dei beni culturali materiali e immateriali, per comprendere le trasformazioni della terra, delle campagne e delle culture dell’oralità.
Un grande apparato scientifico definito da una metodologia della ricerca innovativa, volta a indagare nel sostrato più profondo della conoscenza il sacro quale ierofania, quale divinità che si evidenzia, che si fa concreto tratto rituale, percorso simbolico, immaginario di una religiosità popolare che ha accompagnato il processo evolutivo del farsi dell’umanità.
Al suo alto magistero si sono formate più generazioni di giovani che con lui si sono laureati e una nuova generazione di antropologi. Tanti lustri di ricerca teorica e di terreno che hanno originato una scuola della quale è stato maestro. Magistero che ha apportato sostanziali contributi critici alla conoscenza e all’interpretazione della società complessa, a partire dall’originale consapevolezza che la tradizione è a fondamento del costituirsi della postmodernità.
Ha dunque intuito ed esplorato traiettorie socio-antropologiche che oggi fanno parte dell’apparato scientifico dell’intelligenza del presente, grazie alla sua originalità d’interpretare i fatti di cultura.
La sua visione accademica e più in generale della vita è stata però dettata da una giovane coscienza politica che ha sempre utilizzato per interpretare la cultura. Oggi, se abbiamo negli archivi multimediali preziose informazioni etnografiche, critiche basi di conoscenza, lo dobbiamo alla sua partecipazione attiva all’aver compreso – in tempi in cui la tradizione veniva considerata poco più che un torcicollo della nostalgia – essere l’espressione più alta della poetica contadina. Noi allievi, sotto la sua guida abbiamo via via raccolto sul campo saperi di tradizioni, gesti e parole dell’oralità che amava incondizionatamente. In particolare il canto popolare, un patrimonio che non solo andava salvato ma interpretato. In molti abbiamo avuto la fortuna di passare serate straordinarie nell’appoggiare le nostre voci al suo canto a cappella, al suo gheddu, al suo armonico canto libero, politicamente libero. Un canto di passione, di affetti, di amori e tradimenti, di ribellione. Un canto partigiano che conserviamo nel cuore come dono intangibile di Gian Luigi, che ci porteremo per sempre stretto con noi, che ci aiuterà a superare il mare di tristezza che la sua scomparsa ci ha lasciato, e con una corale e ideale Bella ciao lo vogliamo salutare.
A Gian Luigi abbiamo voluto bene in molti e continuiamo a volergliene anche di più ora che se n’è andato in punta di piedi, come sempre si è comportato nella sua lunga e generosa vita di gentiluomo.
Gian Luigi ha attraversato la vita con delicatezza, con coscienza sociale e politica, con sapienza scientifica e affettiva, con onestà.
E anche prendendola con divertimento. Non a caso con altri amici ha fatto conoscere il jazz nelle sue terre di collina, dando vita con Paolo Conte ad un complesso musicale da lui definito “non male”.
Ha conosciuto mondi, altrove diversi ma il suo luogo di vita, la sua ragione d’esistere l’ha realizzata nelle terre di origine. Terre che amava come le persone che costituiscono la sua famiglia.
Una famiglia che ha amato e custodito con affetto e generosità e che da essa è stato ricambiato con altrettanto affetto e generosità.
Gli allievi